Come definito dai due documenti di consenso internazionale, Venice Chart e HRS/EHRA/ECAS nell’approccio all’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale vanno tenuti presenti i seguenti punti cardine:
1. le strategie ablative che si indirizzano alle vene polmonari e/o agli antri delle vene polmonari costituiscono il requisito base ed imprescindibile per la massima parte delle procedure di ablazione della fibrillazione atriale;
2. un’accurata identificazione degli osti delle vene polmonari è indispensabile per evitare l’ablazione all’interno delle vene polmonari, che comporta un aumentato rischio di stenosi delle vene polmonari;
3. quando il target è rappresentato dalle vene polmonari, l’obiettivo è l’isolamento completo;
4. quando, durante una procedura di ablazione, si identifica un trigger focale al di fuori delle vene polmonari, questo dovrebbe essere eliminato;
5. quando si eseguono linee di lesione addizionali, la completezza di tali linee dovrebbe essere dimostrata con metodi di mappaggio o pacing;
6. l’ablazione dell’istmo cavo-tricuspidale è raccomandata solo in pazienti con storia di flutter atriale tipico o con flutter atriale inducibile, istmo cavo-tricuspidale-dipendente;
7. qualora si trattino pazienti con fibrillazione atriale persistente di lunga durata ( maggiore di 12 mesi ), il solo isolamento dell’ostio delle vene polmonari può non essere sufficiente.
Energie utilizzabili
La fonte di energia utilizzata più frequentemente per effettuare l’ablazione transcatetere è la radiofrequenza, anche se negli ultimi anni le energie criotermica, ad ultrasuoni e laser sono state impiegate con tecniche e dispositivi particolari, ma sono ancora in fase di valutazione.
I cateteri utilizzati sono fondamentalmente di due tipi: cateteri irrigati in punta ( 3.5-5 mm ) e cateteri convenzionali con punta di 8 mm. Nel caso dei cateteri irrigati in punta, il limite di temperatura è generalmente settato a 43-48°C e la potenza utilizzata varia tra 25 e 30 W per l’isolamento delle vene polmonari, e non oltre i 40 W per l’effettuazione di lesioni lineari.
L’uso di cateteri irrigati, rispetto a quelli convenzionali ( 4 mm ) inizialmente usati, ha consentito di produrre lesioni significativamente più profonde e soprattutto di ridurre drammaticamente i rischi di formazione di trombi intracavitari.
I cateteri convenzionali con punta di 8 mm sono stati utilizzati nei protocolli di isolamento anatomico circonferenziale; la temperatura target è di 60°C e la potenza erogata varia tra 40 e 100 W.
Anticoagulazione
Un’adeguata anticoagulazione dei pazienti prima, durante e dopo la procedura di ablazione è fondamentale per evitare eventi tromboembolici, che rappresentano una delle più gravi complicanze dell’ablazione della fibrillazione atriale. D’altra parte l’anticoagulazione favorisce alcune delle più comuni complicanze della procedura, come l’emopericardio e le complicanze vascolari.
Occorre pertanto porre molta attenzione nel raggiungimento di livelli ottimali, ma sicuri, di anticoagulazione.
Prima e dopo la procedura di ablazione viene eseguita un’anticoagulazione secondo le linee guida comunemente accettate che si applicano a tutti i pazienti in fibrillazione atriale e ai candidati alla cardioversione.
Il rischio trombotico è maggiore nei pazienti sottoposti ad ablazione rispetto a quelli sottoposti a semplice cardioversione, in quanto l’ablazione danneggia aree di endocardio atriale di varia estensione, favorendo così la formazione di trombi.
Alcuni protocolli suggeriscono l’impiego di anticoagulanti orali anche in soggetti con CHADS2 score pari a 1 in fase pre-procedurale, ma tale indicazione non è supportata da un’evidenza clinica.
Oltre all’anticoagulazione pre-procedurale vi è attualmente un consenso ampio ad eseguire un ecocardiogramma transesofageo per escludere la presenza di trombi atriali, che potrebbero essere mobilizzati dalle manovre dei cateteri in atrio sinistro.
Il protocollo di anticoagulazione prevede la somministrazione di Enoxaparina o di analoghi fino alla sera precedente l’ablazione.
Recentemente, comunque, una strategia senza interruzione dell’anticoagulante orale, al momento della procedura, è stata proposta con soddisfacenti risultati.
Durante la procedura, in genere dopo la puntura transettale, viene somministrata Eparina e.v. in bolo seguita da boli successivi così da mantenere il tempo di coagulazione attivato ( activation clotting time, ACT ) fra i 250 ed i 350 s, a seconda della strategia dei vari Centri.
Alla fine della procedura, prima di rimuovere gli introduttori, è consigliabile la sospensione di Eparina al raggiungimento di un ACT inferiore a 200 s. Dopo alcune ore dalla rimozione viene ripresa l’infusione endovenosa di Eparina o iniziata la somministrazione sottocutanea di Eparina a basso peso molecolare.
Nella giornata successiva, in assenza di complicanze emorragiche, viene ripresa la terapia orale con dicumarolici. La somministrazione di Eparina verrà quindi sospesa al raggiungimento del valore terapeutico di INR.
La TAO verrà poi proseguita per 3-6 mesi o a lungo termine nei pazienti che hanno un CHADS2 score maggiore o uguale a 2.
Recenti evidenze, provenienti da uno studio non-randomizzato, suggeriscono di poter sospendere la terapia anticoagulante anche in pazienti con CHADS2 score maggiore o uguale a 2 dopo un’ablazione efficace. Tale pratica, però, prima di poter essere raccomandata, abbisogna di ulteriori conferme da studi randomizzati con un numero adeguato di pazienti.
Sedazione
La procedura di ablazione della fibrillazione atriale comporta uno stress psicofisico importante per il paziente che, peraltro, deve rimanere immobile per diverse ore sul tavolo operatorio. Inoltre varie fasi della procedura possono comportare stimoli dolorifici intensi o reazioni vaso-vagali, in particolare durante le erogazioni di radiofrequenza a livello della parete posteriore dell’atrio o a livello di zone ricche di fibre del sistema nervoso autonomo. Viene pertanto indotto uno stato di sedazione più o meno profonda a seconda delle preferenze del laboratorio e della disponibilità di assistenza anestesiologica.
In casi particolari, ad esempio pazienti obesi affetti da sindrome delle apnee notturne o pazienti con grave cardiopatia ad elevato rischio di sviluppare edema polmonare, oppure per scelta del Centro, si preferisce eseguire la procedura in anestesia generale con ausilio di intubazione orotracheale.
Modalità di valutazione dei risultati in acuto
Oltre agli endpoint elettrofisiologici definiti in precedenza, alcuni Autori certificano il successo acuto anche mediante il ripristino del ritmo sinusale durante l’ablazione e la mancata indicibilità della fibrillazione atriale alla fine della procedura. Non esistono, però, dati univoci in letteratura circa l’utilità e il significato prognostico di tale parametro. In alcuni laboratori l’inducibilità è utilizzata per valutare se sia necessario associare all’isolamento puro delle vene polmonari l’effettuazione di lesioni lineari o la ricerca di foci extrapolmonari.
Modalità di valutazione dei risultati nel follow-up
A tutt’oggi la valutazione della efficacia clinica a medio-lungo termine delle procedure di ablazione transcatetere per la cura della fibrillazione atriale si basa in larga parte sulla presenza o meno durante il follow-up di sintomi ( palpitazioni ) riferiti dal paziente, spesso confermati dalla registrazione elettrocardiografica. Poiché la grande maggioranza dei pazienti che si sottopone alla ablazione transcatetere ha episodi sintomatici di fibrillazione atriale, l’assenza di sintomi durante il follow-up è considerata da molti come indicatore di efficacia della procedura.
Tuttavia, è noto che i pazienti con fibrillazione atriale possono avere anche episodi asintomatici della aritmia, che suggeriscono l’utilità e la necessità di un follow-up più attento nel monitoraggio delle recidive aritmiche. A questo proposito possono essere usati, anche se attualmente non-codificati, protocolli che prevedano visite cardiologiche ambulatoriali periodiche ravvicinate ( es. 1, 3, 6, 12 mesi ), l’impiego di sistemi di tele cardiologia con trasmissione transtelefonica giornaliera e in presenza di sintomi di un ECG, l’esecuzione periodica ambulatoriale di ECG dinamico secondo Holter tradizionale per 24ore o, se necessario, continuo per più giorni ( Holter di lunga durata ).
In generale, aumentando la densità dei periodi di registrazione elettrocardiografica si documenta un progressivo aumento del numero di recidive e se ne definiscono con maggior precisione alcune importanti caratteristiche, come la durata e la frequenza media durante aritmia. In particolare, in un recente studio di follow-up su pazienti sottoposti a procedura ablativa guidata anatomicamente, l’incidenza di episodi asintomatici di fibrillazione atriale è aumentata dal 5% prima dell’intervento al 40% a 1, 3 e 6 mesi dopo. Questi dati sottolineano l’inconsistenza della percezione soggettiva da parte del paziente nella valutazione della efficacia della procedura. ( Xagena2011 )
Lineeguida AIAC 2010 per la gestione e il trattamento della fibrillazione atriale, G Ital Cardiol, 2011
Cardio2011