La fibrillazione atriale non-trattata è generalmente associata a una risposta ventricolare irregolare, rapida, e spesso accompagnata da sintomi, tra cui palpitazioni, fatigue, dispnea, e capogiri. E’ ampiamente accettato che il rallentamento della risposta ventricolare, a riposo e nel corso di attività, con l’uso di farmaci che prolungano il periodo refrattario del nodo atrio-ventricolare ( AV ) ( i cosiddetti farmaci per il controllo della frequenza ), sia in grado di migliorare i sintomi e di ridurre il rischio di successivi eventi avversi cardiovascolari.
La strategia del controllo della frequenza è preferita alla strategia del controllo del ritmo come terapia iniziale per i pazienti con fibrillazione atriale, a causa della difficoltà a mantenere il ritmo sinusale.
Il controllo della frequenza è associato a più bassi tassi di mortalità, ictus, ospedalizzazione, qualità di vita, in studi clinici randomizzati di ampie dimensioni, ben condotti.
Finora si riteneva che il raggiungimento delle frequenze ventricolari simili a quelle presenti durante il ritmo sinusale nei pazienti con un grado simile di malattia cardiaca fosse associato a un miglior esito cardiovascolare ( funzione cardiovascolare e cardiomiopatia correlata alla tachicardia ).
Studi epidemiologici hanno evidenziato che le frequenze cardiache più rapide sono associate ad aumento della mortalità per cause cardiovascolari.
Le lineeguida raccomandano target di frequenza cardiaca a riposo inferiori a 80 bpm e target durante attività fisica moderata inferiori a 110 bpm.
Questi valori sono tuttavia arbitrari.
Evidenze hanno messo in rilievo che raccomandare target di frequenza cardiaca vicini ai livelli normali potrebbe non essere corretto.
Per prima cosa, la relazione tra la frequenza cardiaca raggiunta e la qualità di vita o la sintomatologia non è provata; il grado dei sintomi durante fibrillazione atriale è più strettamente correlato alla gravità della sottostante malattia cardiaca, all’età e al sesso, piuttosto che alla frequenza cardiaca.
Nei sottostudi retrospettivi dello studio AFFIRM ( Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm Management ) e dello studio RACE ( Rate Control versus Electrical Cardioversion for Persistent Atrial Fibrillation ), in cui i pazienti erano stati assegnati in modo casuale alla strategia per il controllo della frequenza oppure alla strategia per il controllo del ritmo, non è emersa nessuna evidenza di una riduzione della morbilità o mortalità o di una migliorata qualità di vita nei pazienti con stretto controllo della frequenza rispetto al minor controllo.
Nei pazienti con insufficienza cardiaca, in cui i potenziali effetti deleteri di un’alta frequenza ventricolare possono essere particolarmente importanti, non c’è nessuna evidenza che il Bisoprololo ( Congescor ), rispetto al placebo, riduca il tasso di mortalità o di ospedalizzazione in un sottogruppo di pazienti che presentano al basale fibrillazione atriale.
I Ricercatori dello studio RACE II ( Rate Control Efficacy in Permanent Atrial Fibrillation: a Comparison between Lenient versus Strict Rate Control II ) hanno fornito un importante contributo per comprendere i potenziali benefici e i rischi dell’approccio del controllo della frequenza ventricolare nei pazienti con fibrillazione atriale persistente.
Il trattamento con farmaci che bloccano la conduzione a livello del nodo AV ( 79% dei pazienti trattati con beta-bloccanti, 37% dei pazienti in terapia con calcioantagonisti ) ha permesso al 6 7% dei pazienti assegnati ad uno stretto controllo della frequenza di raggiungere una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 80 bpm. In questo gruppo, la frequenza cardiaca media, misurata mediante Holter 24-ore, è stata pari a 78 bpm; l’88% dei pazienti ha presentato frequenza cardiaca a riposo di 90 bpm o valore inferiore dopo la fase di aggiustamento del dosaggio.
Di contro, nel gruppo sottoposto a blando controllo della frequenza, in cui il target della frequenza cardiaca a riposo era inferiore a 110 bpm, il 98% dei pazienti ha raggiunto l’obiettivo; le frequenze cardiache a riposo erano più rapide di 80 bpm nel 98% degli individui e più rapide di 100 bpm nel 23%. Questo meno rigoroso target di controllo della frequenza è stato raggiunto con l’impiego di dosaggi più bassi di beta-bloccanti; il beta-bloccante è stato richiesto solo nel 65% dei pazienti; l’impiego di un bloccante il nodo AV si è reso necessario nel 30% dei pazienti, contro il 69% del gruppo controllo più rigoroso. ( Xagena2010 )
Dorian P, N Engl J Med 2010; 362:1439-1441
Cardio2010