I farmaci antiaritmici prolungano il potenziale di azione atriale e il periodo refrattario, e prevengono quindi la ricorrenza di fibrillazione atriale dopo la cardioversione.
Il potenziale di azione atriale si normalizza dopo 2-4 settimane di ritmo sinusale, suggerendo che i farmaci antiaritmici potrebbero non essere necessari dopo tale periodo.
Uno studio ha valutato se il trattamento a breve termine con farmaci antiaritmici dopo cardioversione fosse non inferiore al trattamento a lungo termine.
Nel periodo 2007-2010, in 44 Centri in Germania sono stati arruolati pazienti in uno studio prospettico, randomizzato, in aperto, con valutazione in cieco dell’endpoint.
I pazienti idonei all’arruolamento erano adulti con fibrillazione atriale persistente sottoposti a cardioversione pianificata.
Dopo la cardioversione effettuata con successo, i pazienti sono stati assegnati in modo casuale a: nessun trattamento con farmaci antiaritmici ( controllo ); trattamento con Flecainide ( 200-300 mg al giorno; Almarytm ) per 4 settimane ( trattamento a breve termine ) o Flecainide per 6 mesi ( trattamento a lungo termine ).
L’endpoint primario era il tempo prima della fibrillazione atriale persistente o decesso.
I pazienti e il personale clinico erano a conoscenza del gruppo di assegnazione e del trattamento.
L’esito primario è stato valutato in un laboratorio centrale, i cui membri non erano a conoscenza del gruppo di trattamento.
I pazienti sono stati seguiti per 6 mesi con elettrocardiogramma ( ECG ) telemetrico giornaliero e sono stati assegnati a ECG Holter nel caso fosse stata notata una fibrillazione atriale in due ECG consecutivi.
Le analisi sono state effettuate per protocollo.
Dopo che la sensibilità della tecnica è stata stabilita con dati di follow-up di 4 settimane relativi a 242 pazienti che hanno mostrato che Flecainide era superiore all’assenza di trattamento ( sopravvivenza di Kaplan-Meier 70.2% vs 52.5%; p=0.0160 ), lo studio è stato continuato con lo scopo di confrontare i trattamenti a breve e a lungo termine.
L’esito primario si è manifestato in 120 ( 46% ) dei 261 pazienti sottoposti a trattamento a breve termine e in 103 ( 39% ) dei 263 pazienti sottoposti a trattamento a lungo termine ( sopravvivenza libera da eventi 48.4% vs 56.4%; stima di Kaplan-Meier della differenza 7.9%; p=0.2081 per la non-inferiorità; margine prespecificato al 12% ).
In una analisi post-hoc dei pazienti che non avevano raggiunto l’endpoint primario nel primo mese, il trattamento a lungo termine è risultato superiore rispetto a quello a breve termine ( stima di Kaplan-Meier della differenza 14.3%; hazard ratio, HR=0.31; p=0.0001 ).
In conclusione, il trattamento a breve termine con terapia antiaritmica dopo cardioversione è meno efficace di quello a lungo termine, ma può prevenire la maggior parte delle ricorrenze di fibrillazione atriale. ( Xagena2012 )
Kirchhof P et al, Lancet 2012; 380: 238-246
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